C’è un’Italia che, nonostante la crisi, resiste e sa essere innovativa, unita e vocata alla qualità e alla bellezza. In una parola competitiva. È l’Italia della coesione, quella che vede le aziende camminare con le comunità locali, che coinvolge i cittadini, valorizza e sostiene i lavoratori. Proprio le imprese “coesive” - quelle legate a comunità di appartenenza e territorio in cui operano, che investono nel benessere economico e sociale, nella sostenibilità, nella qualità e bellezza, che ha relazioni con il non profit e le istituzioni territoriali - hanno una marcia in più che permette loro di andare lontano. Tanto che le imprese “coesive” hanno registrato nel 2013 aumenti del fatturato, rispetto al 2012, nel 39% dei casi, mentre fra le imprese “non coesive” tale quota si ferma ben al di sotto, al 31%, dimostrando una migliore dinamicità anche sul fronte dell’occupazione e dell’occupazione.E’ quanto emerge dal rapporto “Coesione è Competizione - Le nuove geografie della produzione del valore in Italia” realizzato da Consorzio Aaster, Fondazione Symbola e Unioncamere; un lavoro che coglie e rappresenta i driver della competitività, collocati però su lunghezze d’onda che gli indicatori economici più diffusi non percepiscono. E che pertanto propone uno sguardo nuovo per leggere il Paese, che non si lascia irretire dall’opinione di chi guarda l’economia italiana dal satellite, ma scende nelle comunità in cui sono radicate le imprese e le tante energie di cui si nutrono. “La riuscita di un'iniziativa economica, sostiene il segretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi, “non si gioca più soltanto sul prezzo di un prodotto o servizio ma soprattutto su aspetti qualitativi di ciò che viene offerto. La coesione tra impresa, lavoratori, territorio, istituzioni, mondo del non profit sta sempre più diventando un elemento vincente della competizione economica nei Paesi evoluti. E a differenza di altri Paesi, la forza dell'Italia non è nella standardizzazione dei grandi numeri, ma nella qualità di un'offerta altamente specializzata di filiere e distretti che ci fanno grandi nel mondo. Alla base c’è un tessuto di piccole imprese su cui il Paese deve continuare a puntare”.
Eduardo Cagnazzi
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