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Nella cave di marmo si combatte la battaglia per la proprietà privata


23 febbraio 2019 - Proprietà privata a rischio esproprio senza indennizzo da parte del pubblico che si impadronisce del bene. A sancire, per la prima volta, l’ipotesi di una legittimazione giuridica di quello che in anni bui della storia italiana sarebbe stato definito un “esproprio proletario” e un “golpe” contro diritti fondamentali del cittadino è una proposta di legge che la Regione Toscana ha presentato al Parlamento ed è ora pendente presso la X Commissione della Camera dei deputati. Oggetto delle pretese della pubblica amministrazione, le cave del marmo bianco di Carrara, vero e proprio simbolo dell’italianità nel mondo.

Nel mirino sono i cosiddetti beni estimati, ovvero quelle parti delle cave (corrispondenti al 30-35% delle aree da dove viene ricavato il marmo nel distretto apuo-versiliese) che sono a tutti gli effetti, sulla base del diritto vivente, ma anche di un’affermazione di diritto sulla proprietà privata, sancite da norme e da atti anche giudiziari in modo ininterrotto sin dai tempi di Michelangelo, che da queste cave trasse il blocco da cui fece nascere la sua Pietà, ad oggi. Ad accendere i riflettori su questo rischio sono oggi a Roma, in collaborazione con l’Università Luiss di Roma, Confindustria Livorno, Massa e Carrara e gli industriali del marmo del distretto apuo-versiliese.

La denuncia è secca: per la prima volta in Italia si prospetta la negazione per legge di quel diritto vivente sulla proprietà privata che in Italia non è mai stato messo in discussione; un diritto che è stato riconosciuto sempre in modo univoco nel caso degli agri marmiferi delle Apuane dove convivono aree di proprietà pubblica (affidate in concessione ai privati) con beni estimati e quindi proprietà private la cui legittimità è stata riconosciuta ai proprietari delle cave per secoli da tutte le controparti, giudiziarie e istituzionali pubbliche; un riconoscimento che è anche frutto di una giurisprudenza costante radicata e confermata nei secoli, con particolare chiarezza dall’editto del 1751 con cui Maria Beatrice d’Este sanciva che tutti i beni iscritti al registro degli estimi fossero dopo 20 anni di utilizzo pienamente riconosciuti a tutti gli effetti come proprietà privata.

Per altro – come emerge dalle relazioni tecniche al seminario – è del tutto privo di fondamento il tentativo di imputare ai proprietari privati di cave il non rispetto di obblighi ambientali o di sicurezza, che devono adempiere, sulla base di una legge regionale, esattamente come accade per le cave in concessione o per quelle di proprietà di amministrazioni comunali.
“La Regione Toscana ci aveva già provato nel 2012 vedendosi disconosciuto dalla Corte Costituzionale il diritto a legiferare in questa materia – sottolinea Erich Lucchetti, presidente degli industriali del marmo – Ci riprova adesso nonostante che, anche nel febbraio scorso, il Tribunale di Massa avesse per l’ennesima volta riconosciuto il diritto dei proprietari dei beni estimati”.
 “Sul tavolo – conclude – non c’è solo il diritto delle aziende del marmo e dei loro dipendenti. C’è un diritto fondamentale alla proprietà privata che è stato sancito dalla nostra Costituzione, da reiterati interventi della Corte Costituzionale e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. È per questo che oggi gli industriali del distretto delle Apuane, non sono solo difensori del loro diritto, ma anche i paladini di un diritto fondamentale dell’uomo libero”.

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