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Il cargo ferroviario vive- almeno in Italia- uno dei suoi momenti più difficili. Non è solo colpa della crisi economica se i treni/km prodotti complessivamente nel 2008 erano quasi 71 milioni, mentre quelli registrati nel 2013 sono appena 43 milioni. Perché se è vero che la produzione industriale nel nostro Paese è calata in questi anni del 25% e questo inevitabilmente si ripercuote sui volumi di merci da trasportare è altrettanto vero che in assenza di una politica dei trasporti degna di questo nome che ha accomunato da decenni tutti i Governi, la modalità ferroviaria e il cargo in particolare sono stati del tutto ignorati. Oggi i segnali sono contraddittori. Da una parte si afferma di voler valorizzare la ferrovia come elemento fondamentale della industria logistica del Paese, dall'altro, e questo è un dato di fatto incontrovertibile, nel neocostituito Comitato per i porti e la logistica, gonfio di ben 15 membri, il Governo non ha ritenuto necessario inserire nessun rappresentante del trasporto merci ferroviario. I risultati di questa politica miope sono sotto gli occhi di tutti. I dati elaborati dalla Commissione Europea certificano che in Italia solo il 13,1% delle merci usa la ferrovia, mentre la strada muove l'80,3%. In Germania i rapporti sono 22,4% per la ferrovia e 62,4% per la strada, in Austria 35,5% contro 47,5%. Perfino la Francia che pure ha percentuali ferroviarie simili all'Italia, con un 14,2% la strada si ferma al 75,3% del totale. Questo squilibrio verso la gomma, tutto italiano, sarebbe probabilmente molto più accentuato se a contrastare il sostanziale abbandono del trasporto merci da parte di Trenitalia Cargo, non fosse scesa in campo, grazie alla liberalizzazione voluta dall'Europa, una pattuglia di imprese ferroviarie private che nel 2009 si sono riunite nell'associazione FerCargo, oggi forte di 15 soci. Le imprese aderenti rappresentano oggi in Italia oltre il 30% del traffico merci su rotaia, una percentuale che si può esprimere con alcune cifre: circa 14 milioni di treni/km anno, 40 milioni di tonnellate di merci trasportate per ogni anno circa 1500 treni alla settimana. Particolare da non sottovalutare in tempi di crisi, le aziende associate hanno creato circa 1600 posti di lavoro, e l'80% del personale assunto ha contratti a tempo indeterminato. Il presidente di FerCargo, Giacomo Di Patrizi analizza la situazione e prova a dare alcuni suggerimenti per invertire il trend: «In Italia la ferrovia non è mai stata vista dal sistema e da chi ci ha governato come elemento fondamentale della catena logistica e del sistema trasportistico del paese. Una scarsa lungimiranza che ha portato alla situazione in cui siamo. Abbiamo registrato un calo enorme delle merci trasportate. Per cambiare la situazione bisognerebbe volerlo, smettendo di fare proclami, e cominciando a attuare delle azioni concrete. Gli altri Paesi hanno messo in campo delle iniziative che hanno portato a dei numeri totalmente diversi rispetto al nostro. Nessuno si è mai confrontato, all’estero, con un crollo delle dimensioni che noi abbiamo registrato in questi anni. Siamo davvero ai minimi termini per la modalità ferroviaria e allora bisogna mettere al centro del progetto logistico del nostro paese il trasporto ferroviario». Per cambiare davvero bisogna eliminare i vincoli che bloccano ogni iniziativa e che sono sostanzialmente di tre tipi: infrastrutturale, normativo ed economico con l'assoluta mancanza di politiche si sostegno al settore a fronte di significativi sussidi al trasporto stradale e marittimo. «Partiamo dalle infrastrutture- spiega Di Patrizi- noi siamo molto indietro su questo punto e il gap va recuperato. Facciamo un esempio: noi stiamo progettando di far arrivare treni dal Gottardo e dal nord europa lunghi 750 metri e da 1600 ton. Però una volta arrivati nella zona di Milano, si fermano, non possono proseguire oltre per vincoli di infrastruttura. Il trasporto ferroviario deve essere una asse portante anche del trasporto domestico e non solo di quello internazionale, specialmente sull’asse nord-sud e sulle relazioni che superano i 400 km. Il nostro Paese è perfetto da questo punto di vista. Dobbiamo adattare le infrastrutture a questo tipo di convogli. Abbiamo dei vincoli incredibili, linee che sopportano solo 20 ton per asse quando tutti i moderni locomotori hanno un peso assiale maggiore, problemi di sagoma per andare al sud - e non parlo dei semirimorchi che solo la linea Adriatica fra qualche tempo potrà accogliere, - ma penso ad esempio ai container high cube che richiedono la sagoma PC45. Noi oggi per poterli trasportare siamo costretti a usare i carri ribassati che hanno dei costi sia di acquisto che di gestione molto maggiori di quelli normali. Diamo atto a RFI che ora rispetto a prima si sta muovendo in maniera più incisiva ma ci serve ancora un ulteriore scatto in avanti, perché se non si risolvono questi problemi non riusciremo mai a dare una svolta a questa situazione». E poi c'è la questione dei porti, che sembrano non volere capire che senza la ferrovia non possono immaginare alcun realistico piano di sviluppo. «I porti da questo punto di vista soffrono enormemente- continua Di Patrizi- non ci sono binari, quelli disponibili sono corti, non sono elettrificati, ci sono “enne” vincoli di sistema. Allora, porto per porto vediamo quali sono i problemi. Decidiamo su quali scali il sistema italiano si vuole concentrare, Genova, Trieste, la Spezia, ad esempio o quelli dei corridoi, decidiamolo, e su quelli investiamo davvero per renderli compatibili con un servizio ferroviario efficiente Oggi la percentuale di merci che esce dai porti utilizzando la modalità ferroviaria è molto bassa. E poi c’è il tema delle manovre, non è possibile che a Trieste manovrare un treno nel porto costi costi fino a 2000 euro. L'Autority per i Trasporti è recentemente intervenuta su questo aspetto, per fortuna, ora sta a chi dovrà applicare quanto prescritto, farlo nella maniera giusta e noi come FerCargo vigileremo. Perchè il ferroviario tra le sue deficienze ha anche il fatto che in molti, troppi casi qualcuno pensa di avvantaggiarsi sfruttando delle rendite di posizione. Le manovre sono esattamente questo. Le manovre in un sistema normale, devono essere funzionali al sistema ferroviario e coadiuvanti particolarmente nei porti. Le Autorità Portuali dovrebbero essere quelle che vigilano sul fatto che le manovre siano realizzate ai costi piu bassi possibile per rendere il sistema attrattivo per chi decide di utilizzare l’intermodalità ferroviaria. Invece è il contrario, anzi in alcuni casi pensano che le manovre siano un business su cui lucrare. Le manovre non possono diventare un business perchè un monopolista ti dice se vuoi venire qui paghi 2000 euro se no.... amen. I porti crescono solo se la ferrovia li supporta con il retroporto e gli interporti, altrimenti hanno vincoli fisici e di sistema, nè si possono immaginare centinaia di migliaia, se non milioni di container tutti trasportati coi camion sulle strade. Ho visitato tutti i porti del nord Europa: è chiaro che hanno un vantaggio dato dagli spazi però guardiamo come fa Rotterdam che ogni anno amplia il porto con spazi rubati al mare: loro prima di pensare ad una nuova banchina, pensano a come far defluire le merci con nuove linee ferroviarie e costruiscono le rotaie accanto alle banchine. Questo è l'abc, se non rendiamo i porti “ferrovia compatibili” è difficile poi pensare ad una crescita dei volumi». Il secondo vincolo, dicevamo, è dato dalle norme e dalla burocrazia. Qui si potrebbero snellire molte procedure. « Abbiamo bisogno di regole chiare e non troppo stringenti, che non siano esagerate, da parte dell’Agenzia Nazionale della Sicurezza Ferroviaria. Con loro stiamo colloquiando e stiamo cercando di far capire che ci sono delle cose che vanno riviste. E’ un punto da risolvere. Siamo l’unico paese dove per prendere un certificato di sicurezza bisogna farlo linea per linea. Quindi bisogna lavorare sulla revisione delle modalità di rilascio ed estensione del Certificato che deve avere anche una più lunga durata. E poi è necessario armonizzare le normative italiane sulla sicurezza a quelle europee. Non ultimo ANSF deve riconoscere come interlocutori anche gli altri soggetti coinvolti nel processo di sicurezza ferroviaria. Se invece guardiamo ai rapporti con RFI che comunque son molto migliorati in questi ultimi anni, bisogna rivedere le modalità di accesso e utilizzo della rete. Parlo della assegnazione capacità e tracce, della gestione delle interruzioni, dello sgombero delle linee in caso di guasti, solo per citarne alcuni. Ancora è necessario rivedere i servizi di manovra attraverso l'assegnazione tramite gara pubblica dei servizi a Gestore Unico e dove possibile permettere alle imprese ferroviarie di usare propri locomotori». Terzo elemento è quello del sostegno al settore. Il crollo iniziato nel 2008 si è arrestato solo nel 2011 in concomitanza dell'erogazione del ferrobonus. Un provvedimento spot, mai più rifinanziato, che assicurava dei contributi alle imprese che attivavano nuove relazioni di trasporto intermodale. Il nodo è anche quello della revisione dei criteri di assegnazione dei contributi per il traffico ferroviario cargo al sud, fino a quest'anno erogati solo a Trenitalia. «E' necessario rivedere l'assegnazione delle poche risorse al settore merci sulla base dell'istituto del servizio universale coinvolgendo tutte le imprese ferroviarie sul mercato- conclude Di Patrizi- così come degli aiuti erogati per le zone disagiate del sud. E a mio avviso è necessario favorire la revisione e il rinnovo del materiale rotabile con risorse ad hoc anche attraverso l'istituzione di un fondo di garanzia. Il problema è che pare che la ferrovia non interessi a nessuno. Non esiste neppure un sottosegretario con delega alle ferrovie. E’ davvero importante che ci sia un esponente del Governo che capisca l’importanza di questo settore e se ne prenda cura. Si occupano di tutto, autotrasporto, marittimo, logistica, ma le ferrovie non ci sono, perchè il tema è sempre stato delegato al mondo FS. Ora nel mondo delle merci il Gruppo FS vale 2/3, un terzo abbondante è in mano nostra. Non è più possibile continuare come prima. In un periodo di crisi, anno dopo anno siamo riusciti a crescere costantemente fino ad arrivare ad oltre il 30 % del trasporto ferroviario cargo. Lo abbiamo mantenuto in zone altrimenti abbandonate e abbiamo inventato nuovi modelli operativi. Abbiamo fatto di necessità virtù andando a fare scouting porta a porta. Le imprese hanno fatto quello che dovevano, per nascere e crescere, siamo passati da pochissime unità del 2007 adesso siamo già 15, oggi serve il salto in avanti, queste aziende devono raggiungere un’altra dimensione per fare effettivamente da volano per lo sviluppo economico del paese».
 Franco Tanel

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