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La disponibilità d’acqua è cambiata, e la responsabilità è dell’uomo


25 agosto 2020 - Un nuovo studio realizzato con la collaborazione della Fondazione CMCC dimostra per la prima volta come i cambiamenti climatici di origine antropica abbiano influenzato la disponibilità d’acqua terrestre nei mesi più secchi dell’anno, dal periodo preindustriale ad oggi. Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature Geosciences analizza la variazione della disponibilità d’acqua terrestre – definita dalla differenza tra l’acqua in entrata nel sistema tramite le precipitazioni e l’acqua in uscita tramite l’evapotraspirazione – a livello globale nel corso dell’ultimo secolo, eliminando le incertezze ancora esistenti sulla responsabilità umana delle variazioni del ciclo idrologico nella stagione secca osservate nel corso del ventesimo secolo. La ricerca, che ha visto il contributo della Fondazione CMCC – Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, è intitolata “Observed changes in dry-season water availability attributed to human-induced climate change” e si è articolata in due fasi. Il primo passo è stato quello di realizzare e confrontare, utilizzando modelli di superficie terrestre e modelli statistici guidati da osservazioni, mappe globali della distribuzione dell’acqua disponibile nel suolo dal 1902 al 2014, periodo in cui si è verificato un aumento della temperatura media globale di circa un grado.

L’analisi si è focalizzata sulla differenza tra la disponibilità d’acqua media del periodo 1902-1950 e quella del periodo 1985-2014, ponendo a confronto il mese più secco dell’anno. Il team di scienziati ha così verificato una riduzione media della disponibilità d’acqua a livello globale nell’ultimo secolo, con differenze regionali. Il 57-59% della superficie terrestre ha sperimentato un aumento dell’aridità nel mese più secco dell’anno: è il caso delle zone di medie latitudini come l’Europa, il Nord America occidentale, l’Asia settentrionale, il Sud America meridionale, l’Australia e l’Africa orientale.

All’opposto, in altre parti del mondo (41-43% dei territori), come l’entroterra cinese, l’Asia sud-orientale e il Sahel, l’umidità è aumentata. Inoltre, rivela lo studio, l’intensificarsi delle stagioni secche deriva principalmente da una maggiore evaporazione dell’acqua piuttosto che dalla riduzione delle precipitazioni. Il secondo passo è stato quello di attribuire la responsabilità di questo cambiamento, per comprendere se e in che termini questo dipenda dal cambiamento climatico di origine antropogenica piuttosto che dalla variabilità naturale.
 “Attraverso un’analisi multi-modello, abbiamo paragonato in diversi set di esperimenti la distribuzione nel mondo della disponibilità d’acqua in tre diverse configurazioni: il mondo del 1850 (preindustriale), il mondo come lo osserviamo oggi (influenzato da variabilità naturale e antropogenica) e il mondo che avremmo osservato oggi se la variabilità naturale fosse stata l’unica ad influire sul clima” 
spiega Daniele Peano, ricercatore nell’ambito della divisione Climate Simulations and Predictions alla Fondazione CMCC, tra gli autori dello studio.
 “Con e senza l’attività umana, le simulazioni ci catapultano in un inizio di ventunesimo secolo completamente diverso, mentre il mondo del preindustriale non è così differente da quello che avremmo avuto oggi senza l’influenza dell’uomo sul sistema climatico. Così facendo, abbiamo potuto escludere l’impatto della variabilità naturale, ottenendo l’influenza umana come unica spiegazione della variazione di disponibilità d’acqua terrestre dal periodo preindustriale ad oggi”.

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